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Anna Mancini compie 80 anni: «Con l’Advar di Treviso vicino ai malati in ricordo di mio marito»

Anna parla della sua creatura per l’assistenza ammirata e conosciuta a livello internazionale. La guida da 35 anni: «Squadra stupenda, il territorio ha capito e ci aiuta tanto. Questa per me è una missione d’amore per il mio Alberto»

Intervista pubblicata su Tribuna di Treviso,

L’articolo completo è disponibile al link https://tribunatreviso.gelocal.it/regione/2023/11/26/news/anna_mancini_compie_80_anni_advar_treviso-13889796/

 

«È un traguardo che taglio con molta carica ed energia. Sto bene, la facciamo durare. E non mi fermo». No, Anna Mancini non si ferma. Oggi compie 80 anni. Ha appena ricevuto un riconoscimento, lo Steffani d’oro a Castelfranco; sta portando in tour il suo libro “Triplo concerto”, ed è ancora lì, da 35 anni, al timone dell’Advar, la creatura oggi eccellenza internazionale, nata nel garage della sua casa a Treviso vicino alla Pescheria.

Cosa l’ha mossa?
«Vedevo quanto forti fossero i bisogni delle persone malate, e quanto poca capacità comunicativa ci fosse. E volevo assolutamente dignità, fino in fondo. Ho deciso di creare questa associazione, mi ricordo che chiamavano il garage di casa mia il “castello incantato”». Lei, Eufrasia Valori, Domenico Viscuso, Antonio orlando, Ines Chiarabelli e Alberto Agostini.
«Amici che ci hanno creduto, mi avevano aiutato nella malattia di Alberto, li ringrazierò sempre. Era continuare il percorso con Alberto, perché volevamo seguire le riflessioni fatte assieme, l’esperienza fatta con lui nella malattia».

Il nome di suo marito è nell’acronimo Advar: assistenza domiciliare volontaria Alberto Rizzotti.
«Per me voleva dire trasformare una fine in un inizio. Come prenderlo per mano e farlo anche per lui, con lui, e per le altre persone. Alberto mi ha dato una conoscenza profondissimi dei bisogni della persone malate e chi sta loro vicino».

Trentacinque anni dopo, l’Advar diventata una realtà ammirata nel mondo.
«Ogni tanto mi chiedo come abbiamo fatto. Sin dal primo giorno ho sentito questa spinta fortissima, una carica enorme, un fuoco che sembrava eliminare ogni ostacolo e difficoltà, una furia positiva».

Doveva essere un’utopia l’hospice, avete portato a termine anche l’ampliamento.

«Sin dai primi mesi c’era il problema del far crescere quello che avevamo creato. Ho lasciato subito la scuola, non potevo proseguire».

Si è persa una docente, ma la città ha avuto un piccolo grande angelo in terra.

«La scuola mi ha dato moltissimo: capire, entrare in contatto con ragazzi e famiglie, una palestra. La lettura della realtà, la flessibilità necessaria per non immobilizzarsi, il coraggio di leggere i bisogni nuovi, di guardare il nuovo».

Cosa si sente? Una pioniera?
«Ho avuto il coraggio di partire e di crederci, là dove non c’era nulla, il deserto. Con la fortuna di trovare altre persone al mio fianco. Non perdere e non far morire ciò che avevo vissuto con Alberto, ma farlo vivere, dare alla mia esperienza un senso e un significato. E ognuno l’ha rafforzata. Con intuizione, dedizione e un pizzico di follia, penso al progetto dell’ampliamento dopo la crisi economica. Ma utopia e sogno possono realizzarsi».


Avrà pure un segreto.

«L’analisi dei bisogni cui si deve venire incontro. Guardare lontano, ma con i piedi per terra. L’hospice nasceva dal fatto che l’assistenza domiciliare non bastava, E questo nonostante il livello del servizio. Più avanti ci siamo resi conto che non basta più nemmeno l’hospice, con i mutamenti delle famiglie e i nuovi scenari».

Come festeggerà gli 80?
«A Villafranca, coi familiari di Alberto. Siamo molto uniti».

Ma lì, sulla soglia, sulla frontiera estrema, suprema, non ci si stanca mai?
«Mai, mi creda. Le persone assistite mi danno coraggio e voglia di vivere, nonostante siano nell’ultima fase. Io provo gratitudine verso la vita, tanto più oggi. Ed è più forte in me questo incanto nei confronti della vita, uno stupore. E come se tutti i malti avessero deposto il loro vivere e il loro morire. È la nostra vera energia».

Non è da tutti, al confine con la morte che la nostra società vuole rimuovere.
«Credo sia qualcosa fra l’incantamento e l’immaginazione. Penso di aver preso molto da mia madre, dalla sua voglia di conoscere e di sapere, sapeva stupirsi. C’è sempre qualcosa, nella vita, fino all’ultimo. Ho fatto incontri straordinari, che mi hanno dato sensazioni nuove, profonde. Non so se chiamarla saggezza, è la coscienza del limite, dei confini, un senso della misura».

Nell’hospice avete voluto esprimere natura e bellezza, armonia, spazi, verde.
«Per me sono cardini, sarà che amo la musica. Credo nel contatto fra persone, non mi è mai mancata la spinta alla vita con questo atteggiamento di attenzione verso le persone. E il coraggio di riconciliarsi, dopo le fratture e le rotture, questi sono grandi insegnamenti».

Quali incontri le sono rimasti dentro?
«Ci sono, ma sarebbe ingiusto per tutti gli altri. Un’ospite dell’hospice mi dona in questi giorni il suo straordinario sorriso, da solo esprime la dignità che ha. Come si fa a non restare contagiati? Sono spinte a conoscerti di più, ad andare dentro di te, dentro le inquietudini e le fragilità».

Detto da lei pare un controsenso.
«Fa crescere la comprensione, la capacità di andare oltre le maschere che usiamo tutti».

Pensa al ricambio?

«Tutti i servizi hanno un responsabile, con piena autonomia. Sono le radici profonde di Advar. Ma credo di poter ancora dare in termini di continuità, di missione retica e di valori, con energia e passione».

Si è data una scadenza?
«No. Con la sua ombra la vecchiaia illumina la vita, è vero. La scadenza verrà, si presenterà. Mi dicono “non mollare”, so che Advar è in buone mani. L’ultimo corso volontari ha portato belle persone. Col segretario Toniolo c’è intesa totale, tutta la squadra è in grande sintonia».

E la comunità vi è vicina.
«Questo è un grazie enorme che dobbiamo fare come Advar ai trevigiani e al territorio, per la fiducia e il sostegno ricevuti in questi anni. Sentiamo la stima, di più: un abbraccio. Fondamentale. Ha capito quanto è importante la dignità della vita fino all’ultimo istante. Noi vogliamo darla e difenderla ogni giorno».—

Parliamo insieme di Lasciti Testamentari Solidali.


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