La sessualità dopo un lutto

Il tempo del lutto è caratterizzato dalla sofferenza per la perdita della persona cara. L’assenza diventa una presenza piena, pervasiva, in cui nulla esiste al di fuori di sé e “dell’altro mancante”.

Si è persi, vuoti, confusi, arrabbiati. E’ difficile credere o ancor di più pensare che non si possa far riavvolgere il nastro della vita e cambiarne il corso. Il destino toglie la vita a chi muore ma anche a chi rimane.

Si, anche a chi rimane, perché il prima non esiste più, vi è una discontinuità con il presente e il futuro viene completamente cancellato dalla mente. Si sopravvive per necessità, perché vi sono figli, coniuge, genitori, fratelli, sorelle, amici che ci cercano, che ne chiedono la presenza per le incombenze quotidiane. Si mantengono bisogni fisiologici quali mangiare e dormire, almeno in modalità minima, ma senza sentirne gusto, odori, piaceri. Tutto sembra atrofizzato, improvvisamente perso.

I cinque sensi che mettono in contatto l’individuo con il mondo esterno risultano mal funzionanti o spenti. Non si può più vedere, guardare chi sta accanto anche se è un marito o una moglie, sentire le loro parole, desiderare di stare vicini. Anche un abbraccio, una carezza possono diventare troppo. Se Maslow, nella piramide dei bisogni fondamentali, aveva inserito anche la sessualità, nel tempo del lutto viene molto spesso allontanata dalla mente e non solo accantonata nell’agito.

L’esperienza personale ha messo in evidenza come questo argomento non venga affrontato spontaneamente, se non raramente. Già culturalmente la sessualità viene vissuta come privata, come silenzio che parla solo in caso di eventi particolari come, ad esempio, per informare di una gravidanza. Con la morte di un marito, di una moglie, viene meno la possibilità di ripresa dell’attività di piacere sessuale con quella persona. Ma il desiderio sessuale è un istinto insito nell’essere umano, che non può tacere per sempre.

Ed ecco che, quando si riprende vitalità, si inizia a fantasticare sulla sessualità mancata e su una sessualità possibile. Nell’uomo si ripresentano le eiaculazioni spontanee notturne e nella donna la lubrificazione vaginale. Ci si scopre sessualmente attratti da altre persone. E a volte arriva l’amore, un nuovo amore e, come dice il giornalista e scrittore Alessandro Milan: “Quando l’amore arriva, fa rumore. Un rumore assordante che non puoi non sentire”. Ma la parte che sfugge alla ragione genera conflitti interiori dati dalla razionalità, in cui ci si vuole convincere di avere pensieri sbagliati: “Non posso amare qualcun’ altro perché mi sembrerebbe di tradirlo, di mancargli di rispetto”. “Non ho più l’età per impegnarmi in una nuova storia di amore”, “Con mia moglie, mio marito c’era un’intesa perfetta, come posso pensare di trovare una tale sintonia con un’altra persona?”

Tutto ciò è in definitiva figlio della paura di ammettere a se stessi di avere desiderio di vivere pienamente; lasciare il dolore acuto, devastante significa avere il coraggio di rimettersi in gioco, scendere in campo e decidere la propria partita.

Se a morire è un figlio la coppia si può allontanare: la vicinanza fisica, il contatto intimo tra i corpi non è sostenibile. L’idea di fondo, indipendentemente dalla causa di morte, è il senso di colpa verso il figlio. “Se lui/lei è morto/a io non posso vivere”. La letteratura evidenzia come, soprattutto per la donna nel suo ruolo di mamma, di generatrice di vita, è difficile lasciarsi andare, abbandonarsi al piacere. Permetterselo significherebbe non dare più attenzione al figlio, potrebbe sentirsi una cattiva madre.

Vivere include provare piacere verso la vita e tutto ciò che rappresenta, compreso il desiderio di riprendere l’attività sessuale o, meglio, riprendere a fare l’amore. La sessualità non è un mero sfogo corporeo all’interno di una relazione ma rappresenta il donarsi reciproco, un’alchimia che va oltre alla passione. Nel tempo del lutto sembra non possa continuare ad esserci, non viene riconosciuta come nutrimento per poter affrontare il dolore. Riemerge nella sua pienezza il tabù della sessualità riconosciuta solo ai fini riproduttivi, di continuazione della specie. Talvolta succede che venga ripresa proprio per avere un figlio, un figlio nuovo con la funzione non di sostituzione, ma di consolazione. In altre situazioni, invece, la coppia viene bloccata da quella che viene definita “invasività del morto”: sembra che il defunto possa entrare in camera da letto e vedere l’amplesso.

Emerge dunque il pensiero paradossale che considera onnipresente chi “ci precede nell’aldilà”, come se fosse al nostro fianco in ogni dove, come se vivessimo invasi e contornati da anime giudicanti. E si sarebbe quindi condizionati nell’espressione del bisogno di amare ed essere amati.

La sessualità iscritta nella sfera del piacere, del vivere con leggerezza e serenità, nel tempo del lutto viene dunque rinnegata. Considerata solo come atto fisico, perde la sua funzione di regolazione dei sentimenti negativi; la rabbia e la tristezza possono invece trovare sollievo attraverso il contatto fisico dato da corpi vicini che si accarezzano e si baciano.

Comprendere la funzione della sessualità nella coppia anche nel tempo del lutto può aiutare a riconsiderarla come parte di integrante di sé, senza dover giustificarsi o diventare giudici di se stessi. Essa permette di ridimensionare la pervasività del dolore per la perdita, collocandolo in un contesto relazionale che ne favorisce la narrazione e l’elaborazione attraverso il linguaggio del corpo.

Caterina Bertelli – Psicologa-psicoterapeuta – Consulente sessuale

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