Il mio servire nella malattia
In questo tempo difficile non è scontato rimanere centrati sul malato e la sua famiglia. È un tempo dove, per protezione reciproca, sono imposte la lontananza, l’isolamento, la distanza di sicurezza e altre barriere allo stare vicini. Potrebbe sembrare che i valori su cui si fonda il mio (e nostro) lavoro, entrare in casa, dare la mano, farsi vicini, accompagnare, prendersi cura, stare accanto e accudire, siano stati minati e ridotti a potenziale pericolo reciproco, instillando paure e timori nuovi e caricando di fatica ulteriore la sofferenza che ogni percorso assistenziale già porta in sé.
Ma in questo tempo sospeso, rallentato e prudente, la resilienza – la capacità di riadattarsi e far fronte in modo positivo alle difficoltà del momento – invita a ritrovare con più forza il senso del mio fare e soprattutto del mio stare con il malato e la sua famiglia, provando con maggior consapevolezza a servire chi è nella fragilità della malattia, vigilando sulla qualità dei miei gesti e della mia presenza.
Questo si traduce nel dare più attenzione alle parole che uso, nell’ingentilire i gesti -tutti- anche i più banali come chiedere il permesso per appoggiare la mia borsa di lavoro o di usare il bagno per lavarmi le mani, avvicinare il corpo per accudire con delicatezza, calma e con voce garbata, preparando il tempo del contatto e del toccare con rispetto, per far sì che il paziente si senta accolto e si possa affidare alle cure, anche quelle che possono sembrare più facili come lavare le mani o i piedi.
Aver pazienza e attendere è già prendersi cura. Ringraziare per la pazienza concessami nelle manovre di accudimento.
Accomiatarmi con un semplice accenno di inchino, nell’impossibilità di dare la mano per salutare.
E rammentare ogni giorno che l’assenza di una parte dell équipe rivela una forma di presenza, inedita e creativa, di cooperare per continuare a dare il meglio possibile perché il bene, il senso del dovere, la passione per l’umano non vanno in quarantena.
Dentro le case, al riparo, la vita brulica e palpita.
Stefania Robazza – OSS dell’Equipe Domiciliare